Tecniche Cinematografiche

UNO SGUARDO ALLE TECNICHE DI AVATAR

di Marco Rosati

James Cameron torna al cinema nel 2022 con un nuovo capitolo del suo “Avatar” e conquista nuovamente il primo posto ai botteghini con un largo distacco dagli altri film della programmazione. Ciò significa che per il pubblico è stata una gradita sorpresa, per il proseguimento di un film che dieci anni fa ha lasciato una impronta importante nella storia cinematografica. La trama che affronta il tema del devastante impatto dell’uomo sulla natura, la coesione dei protagonisti e un uso tecnico di effetti speciali superlativi. Andiamo ad analizzare proprio questi ultimi.

In questo nuovo secolo di era digitale, il cinema americano sta basando tutto il suo genere fantasy nel superare i limiti della spettacolarità, vedi la grande ondata di film sui supereroi, che permette largo uso di effetti speciali creati al computer, esplosioni, combattimenti, nuovi luoghi inventati da zero. Riguardo a questo mondo di eroi dei fumetti, Cameron afferma: “Ovviamente, i grandi film tratti dai fumetti hanno guidato l’enorme aumentare dell’industria. La crescente ondata di tecnologia coinvolge tutti. Ti offre artisti di qualità superiore, più strumenti, plug-in e codici da usare. Hai più persone di talento che scrivono codici. Il nostro team alla WETA Digital ha costantemente nuove assunzioni, nuove idee, nuove proposte che gli permettono una supremazia all’interno di questo mercato, con il raggiungimento di una migliore qualità. Proprio per questo, WETA FX, come viene chiamata ora, è la migliore.” La WETA FX citata è la società neozelandese di effetti speciali co-fondata con l’autore Peter Jackson, e si pone creativamente rivale alla Industrial Light and Magic di George Lucas che ha lavorato per i film Marvel e specialmente alla saga di “Star Wars”.

Con sicurezza Cameron ha quindi puntato sin da subito all’effettistica, e pubblicamente rende nota la frase che ha rivolto ai produttori: Questo film incasserà tutto quello che deve incassare, e quando lo farà per te sarà troppo tardi. Se c’è un momento in cui ti debba piacere questo film è oggi. Non voglio che tu dica qualcosa che non senti, ma sappi che non basteranno tutti i complimenti possibili da parte tua in futuro, quando Avatar guadagnerà tutto ciò che deve guadagnare”. Un guadagno puntando alle aspettative del pubblico per una nuova esperienza come suscitata dal film predecessore, oltre poi al marketing che ne deriva dai videogiochi, giocattoli e merchandise. Ma all’uscita del trailer, molti hanno criticato proprio il fatto che la CGI (computer generated imagery) non fosse così eccelsa e fin troppo simile a quella di un enorme videogioco.

Di fatto, a differenza del primo film, che per buona parte si svolgeva con attori in carne e ossa, nel secondo capitolo la presenza umana è di gran lunga inferiore. Da tener presente però che i protagonisti digitali sono stati realizzati su attori veri. La tecnica si chiama FPR (facial performance replacement) mette in risalto l’espressione facciale degli Avatar, aumentando il realismo delle loro emozioni. Gli attori hanno indossato un casco equipaggiato con una microcamera in alta definizione, poco più grande di un microfono, posizionata a una ventina di centimetri dal volto. In questo modo è stato possibile riprendere tutti i movimenti dei muscoli facciali, catturando le espressioni del viso e i singoli movimenti delle pupille con una nitidezza e precisione mai raggiunte prima. Quindi con After Effects sono stati digitalizzati i disegni 2D e montati a video i singoli fotogrammi 3D allineando le azioni dal vivo e quelle realizzate in simulcam con animazione virtuale. Questo processo che sembra complicato, in realtà avviene quasi istantaneamente sul set e ciò permette che a fine ripresa il regista  possa subito controllarne il risultato visivo. Questa tecnica si differenzia dal più noto motion capture, in cui al corpo dell’attore vengono applicati alcuni sensori elettronici per rilevare i movimenti, con spostamenti realistici ma gesti poco fluidi. Sono importanti invece i movimenti di muscoli facciali e occhi, perchè restituiscono espressività e  emozioni dei personaggi.

Sul set è stato anche possibile riprendere gli attori e osservarli sul monitor già con il contesto digitale  ricreato: la Fusion Digital 3D Camera permette infatti di  osservare nel suo visore digitale le scenografie di sfondi e paesaggi già ricreati, muovendosi intorno ai personaggi. Oltre a questo, infatti, l’interesse di Cameron era utilizzare una tecnologia che gli permettesse di usare la motion capture subacquea.  Prima non era possibile usare il mocap in acqua, quindi per fare scene di immersione gli attori recitavano sospesi a cavi e l’acqua era aggiunta digitalmente in post produzione.  James Cameron ha insistito sulla possibilità di girare in immersione.

Un grande lavoro dietro a questo nuovo kolossal hollywoodiano, che la BBC premia come punto più alto mai raggiunto nel cinema: «”Avatar” è una gioiosa celebrazione della storia e delle possibilità visive del cinema. Il regista James Cameron si era prefissato di portare la tecnologia cinematografica dove nessuno era mai arrivato prima. E ci riesce». Nelle sale cinematografiche un’esperienza valorizzata poi con il 3D. «L’obiettivo del 3D è far scomparire il piano dello schermo per il pubblico e creare una finestra su un mondo che faccia dimenticare di essere seduti in un cinema» ha spiegato Landau, collaboratore di Cameron nella produzione. Per questo motivo alcune spettacolari sequenze sono state riprodotte a 48 fotogrammi al secondo invece dei 24 standard, così da aumentare la fluidità d’immagine. E’ stato anche un modo per ridurre il motion blur del 3D, ovvero la sfocatura che avviene sulle immagini tridimensionali in movimento. Il pensiero di Cameron a riguardo è: “Non lo vedo come un formato. È uno strumento, uno strumento autoriale. L’unica cosa che dirò in modo abbastanza definitivo è che 48 fotogrammi non avvantaggiano molto un film in 2D, anzi quasi affatto. Si tratta davvero di creare un’esperienza migliore in 3D”. L’HFR era stato usato anche da Peter Jackson per la trilogia dello Hobbit, per esempio.

In conclusione possiamo dire che è un film che punta sulla tecnica e abbandona, in parte, le motivazioni tridimensionali del primo capitolo che erano giustificate dagli umani che entravano nel corpo di avatar. La filosofia ecologica che era molto evidente nel primo “Avatar”, qui è trattata molto meno, mentre è predominante la lotta fra l’esercito ed il capo villaggio; l’ombra sempre presente delle ingiustizie fra indiani e colonialisti, i villaggi bruciati che richiamano alla memoria le immagini della guerra del Vietnam, i valori della famiglia, il bullismo, l’emarginazione, l’eterna sconfitta del capitano Achab contro la balena.