CHROMA KEY
di Marco Rosati
La prima proiezione cinematografica apparve come una magia agli spettatori. Ciò che un tempo era fotograficamente immobile, adesso poteva muoversi. Sull’onda dello stupore generale, George Melies sperimentò idee comportandosi come un mago circense alle prese con sparizioni, trasformazioni, moltiplicazioni di se. Il cinema si divise fra documentaristico (quello dei fratelli Lumiere) basato sul presentare la realtà pura, ed il cinema di genere che prendeva spunto dai generi letterari. La magia cinematografica faceva sì che certe situazioni, come quelle di di Harold Lloyd appeso ad un orologio in cima ad un grattacielo, facessero pensare che l’attore si trovasse realmente a quell’altezza.
Prodezze tecniche e spesso prodezze fisiche, come Buster Keaton, vero stuntman di se stesso, che compieva salti acrobatici, capriole, cadute. Meno rocambolesco Charlie Chaplin, che ci introduce all’argomento in questione. Nella scena del suo “Modern Times” (1936), Chaplin pattina per il salone rischiando di cadere dal pericoloso bordo. In realtà non c’è il vuoto dietro di lui, ma un pannello dipinto a mano posto su un vetro dinanzi alla cinepresa. Uno sfondo finto è sempre stato usato per i fondali ricreati in studio, ma la differenza sta che l’oggetto di scena interviene soprattutto per creare un inganno visivo.
Quei pannelli si sono evoluti in schermi su cui veniva proiettata una ripresa, pensiamo ai viaggi in auto nei film di Alfred Hitchcock con il fondale su cui veniva proiettata la strada, dando l’idea che l’auto fosse in movimento. Sono il primo esempio di uno schermo come fondale, che poi diventerà monitor fino allo stage craft. Nell’era tecnologica è stato abbandonato l’artigianato e l’effetto visivo è stato sostituito con una immagine ricreata al computer: sfondi verdi o blu (colori base scelti) verranno poi sostituiti con montagne e mari, pareti o vulcani, luoghi affollati o qualsiasi altra immagine. E’ lo stesso sistema impiegato per i telegiornali televisivi, fondali ricreati digitalmente. Usato anche per i findali dei film di animazione in stop motion L’effetto di sostituzione si adatta a qualsiasi situazione: una gamba tinta di verde può essere sostituita con un mitra, come in Planet Terror (2007) di Robert Rodriguez.
Uno dei massimi punti di riferimento è certamente Matrix (Andy e Larry Wachowski) che nel 1999 segna un confine fra il vecchio modo di fare cinema e l’abbondante utilizzo che poi se ne ricaverà. Il chroma key in Matrix fu usato così tanto da decidere di predominare il film sui toni del verde, dato che il riflesso dei pannelli era su armi, abiti, occhiali, pelle.
Là dove non si intervenga con uno sfondo sostituibile, è possibile modificarlo completamente a proprio piacimento. Più in là si spingono le richieste e maggiore è il lavoro della post produzione. La gran quantità di film sui supereroi prodotta dopo il 2000 ha fatto largo uso di questa tecnica, comportando un maggior controllo sul lavoro dei set preconfezionati. Un eroe può combattere con un gigantesco drago offrendo una varietà di inquadrature e punti di vista che un tempo vedeva molte limitazioni nell’uso di modellini.
Adesso ogni soluzione, nella maggior parte dei casi, è affidata al chroma key. Se per esempio la vittima di un film horror è trascinata per una stanza da una invisibile entità, vuol dire che quello spettro invisibile è una persona dentro una tuta verde o blu che trascina il personaggio, e che la computer grafica ha reso invisibile proprio grazie al suo monocromatismo di un colore non presente in scena: il programma riconosce quel colore e lo sostituisce con il luogo di scena. Lo stesso viene fatto per un oggetto che vola nel vuoto: qualcuno lo sta tenendo con un guanto verde o blu.
Il funzionamento infine è molto semplice, serve un programma che in post produzione sostituisca il fondale vuoto con una ripresa effettuata in precedenza oppure con una immagine creata ex novo al computer.
Con lo stage craft le immagini sostitutive sono già proiettate sul set, di modo che gli attori interagiscono meglio con il fondale, in un meccanismo sicronizzato che permette alla cinepresa di riprendere sia il personaggio che lo sfondo. Il chroma key ha permesso di compiere passi avanti significativi permettendo di creare scenicamente grandi sensazioni, unite al veridicità che la qualità permette di raggiungere. L’abbondante utilizzo ha portato negativamente a non saper più riconoscere la magnificenza di un paesaggio natural, al pari di una foto troppo ritoccata. Se poi l’effetto di sovrapposizione è troppo evidente, diventa visivamente controproducente, perchè è palese che il personaggio interagisca con un fondale che non esiste. Per questo motivo durante le riprese è essenziale la gestione delle luci: esse devono ricreare sugli attori la stessa situazione che viene posta sul fondo.
E’ vero che in post produzione tutto ciò può essere modificato e quindi adattato, ma un buon lavoro di partenza reduce la manovalanza, i tempi ed I costi, del successive lavoro di confezionamento. E’ certamente evidente che certi scenari siano ricreati digitalmente, ma spesso è impensabile fin dove si possa spingere l’utilizzo di questa tecnica, come per esempio nel ricreare gli abiti: soprattutto nel genere fantasy gli attori recitano con tute monocromatiche che in un secondo momento vengono sostituite con abiti digitalmente ricreati. Ciò significa maggior libertà espressiva e certamente risparmio economico del reparto sartoria. Intere situazioni sostituite dal computer, così come personaggi ricreati su attori.
Gli esempi cinematografici a questo punto sarebbero davvero moltissimi, anche con una bassa produzione si possono facilmente ricreare gli effetti di sostituzione colore-immagine. Alcuni film dove poter ritrovare questa tecnica sono: “The Thief Of Bagdad” (Ludwig Berger, Michael Powell e Tim Whelan, 1940), “The Empire Strikes Back” (George Lucas, 1980), “Who Framed Roger Rabbit” (Robert Zemeckis, 1988), “The Mummy” (Stephen Sommers, 1999), “The Lord Of The Rings” (Peter Jackson, 2001), “Harry Potter And The Philosopher’s Stone” (Chris Columbus, 2001), “Sin City” (Robert Rodriguez, 2005), “Sherlock Holmes” (Guy Ritchie, 2009), “Avatar” (James Cameron, 2009), “Les Aventures extraordinaires d’Adèle Blanc-Sec” (Luc Besson, 2010), “Alice in Wonderland” (Tim Burton, 2010), “Life Of Pi” (Ang Lee, 2012), “The Avengers” (Joss Whedon, 2012).