“VELOCITA'”
di Marco Rosati
Nel cinema degli albori agli inizi del 1900, ogni film era caratterizzato da una velocità che nelle stampe ai posteri è rimasta invariata. Era un’accelerazione dovuta alla manovella che il proiezionista girava per muovere il rullo della pellicola durante la proiezione. Quindi manualmente la pellicola ruotava e l’aumento di velocità era dovuto al gesto umano. In poco tempo si era capito che questa particolarità poteva essere usata in modo creativo, per aumentare la comicità di certe situazioni (vedere i primi film muti di Charles Chaplin) oppure per accentuare la corsa valorizzando il senso grottesco (vedi la corsa del carro in “Nosferatu, Eine Symphonie Des Grauens” di Wilhelm Murnau – 1922). Questa consapevolezza è stata ripetuta in tutto l’arco della storia cinematografica usando la variazione di velocità per ottenere effetti particolari, valorizzare atmosfere, mostrare evidenziando. Nel nuovo secolo ha preso moda la tecnica del time-lapse, ovvero una velocizzazione di una inquadratura fissa allo scopo di mostrare i cambiamenti temporali in un breve lasso di tempo, per esempio lo sbocciare di un fiore o il passare del tempo atmosferico attraverso il cambiare del cielo dal giorno alla notte. Effetti che agli albori furono realizzati con lo stratagemma del passo uno nell’interessante “The Birth Of A Flower” (Frank Percy Smith, 1910). L’accelerazione quindi diventa uso espressivo, anche per mantenere il ritmo del film (vedi “Good Bye, Lenin!”, Wolfgang Becker – 2003) oppure a tema giocoso per accentuare la dinamica divertente con movimenti veloci che ricordano proprio quel cinema comico degli albori (vedi “Zazie Dans Le Métro”, Louis Malle – 1960). Spesso, con effetto riconoscibile, si accelera una situazione per motivi di trama, come in “Aliens” (James Cameron, 1986) il robot muove la mano oltre la velocità normale, effetto ottenuto proprio velocizzando in fase di montaggio la normale ripresa. Lo stesso stratagemma per accelerare ad esempio incidenti automobilistici, svolti sul set ad una bassa velocità aumentata poi in fase di montaggio ( vedi l’incidente automobilistico in “Carrie” di Brian De Palma, 1976). Molti sono i film che mischiano variazioni di velocità, usando anche la decelerazione (detta ralenty) per prolungare una immagine veloce o aumentare la sensibilità in un momento di forte emotività: sempre in “Carrie” del 1976, troviamo anche una decelerazione che enfatizza l’incoronazione della reginetta ed allo stesso tempo prolunga la suspance della trappola che sta per scattare, quindi un doppio effetto contrastante vissuto attimo per attimo. La decelerazione rende fluidi i movimenti, prolungando l’esperienza dello spettatore, come quando in un momento di estrema felicità perdiamo il contatto con lo scorrere del tempo e tutto pare rallentato. Usato anche per il cinema d’avanguardia (vedi “Zéro De Conduite”, Jean Vigo – 1933) ha trovato poi ampio uso nelle produzioni, specialmente hollywoodiane, inflazionandosi; lo troviamo molto spesso utilizzato nelle pubblicità proprio per fini emozionali. Si ritaglia invece uno spazio nelle opere d’autore (vedi “Der Amerikanische Soldat”, Rainer Werner Fassbinder – 1970) e poi nelle pellicole prettamente commerciali con risultati e necessità differenti. Se infatti poniamo ad esempio la corsa drammatica di Anna Magnani in “Roma Città Aperta” (Roberto Rossellini, 1945) alla corsa rallentata con musica d’atmosfera in “Chariots Of Fire” (Hugh Hudson, 1981) ci troviamo di fronte a due cinema differenti: là dove non c’è bisogno di stratagemmi per evidenziare la drammaticità di un momento, in altri casi necessita di un artificio per prolungare l’attenzione e l’emozione. In passato veniva usato raramente, poi ha trovato forse anche troppo utilizzo. La tecnica del rallentamento ha trovato vari modi per valorizzare tempo ed immagini, consegnando scene rimaste nella storia, come il momento dell’esplosione in “Zabriskie Point” (Michelangelo Antonioni, 1970) dove il galleggiare degli oggetti si mischia alla musica dei Pink Floyd.
La suspance può essere così allungata nei momenti in cui lo spettatore sa cosa sta per accadere ma il ralenty gli permette di sperare fino all’ultimo che qualcosa possa cambiare gli avvenimenti (vedi “Mission: Impossible”, Brian De Palma – 1996), nei momenti di sospensione dove si prolunga l’attesa di sapere quale esito avrà il protagonista (vedi “Koroshiya Ichi”, Takashi Miike – 2001). Sui titoli iniziali di “Reservoir Dogs” (Quentin Tarantino, 1992) i personaggi al rallentatore camminano e l’effetto li rende importanti, misteriosi, fuori classe. Il ralenty può esaltare un momento normale e ne amplifica il senso di importanza, come la partita a bowling sacra per i protagonisti in “The Big Lebowski” (Joel ed Ethan Coen, 1998). Allo stesso modo l’esaltazione di un momento drammatico improvviso: l’effetto di decelerazione amplifica la violenza dell’accaduto (vedi “Full Metal Jacket”, Stanley Kubrick – 1987). Nel cinema di Sam Peckinpah l’effetto è alternato con velocità normale per ritagliare piccoli momenti e, specialmente nelle scene concitate, come sparatorie, il risultato pone l’attenzione ai singoli avvenimenti che compongono la scena: là dove una persona corre al riparo, un uomo ferito mortalmente cade al rallentatore (vedi “The Getaway”, 1972). Con cura al dettaglio ne fa sfoggio Lars Von Trier, che la utilizza per lunghe sequenze di introduzione marcando dettagli nitidi come le gocce d’acqua (vedi “Antichrist”, 2009).
La sperimentazione ha portato a nuove idee ed il misto di velocità nella stessa scena è una di queste. In “Justice League” (Joss Whedon e Zack Snyder, 2017) il personaggio di Flash ha il potere della super velocità e per questo lo vediamo muoversi normalmente mentre tutto intorno è rallentato. E’ una dinamica interessante per lo spettatore che assiste ad una situazione fuori dal normale e si immedesima ulteriormente in Flash, interagendo con una situazione rallentata. Allo stesso modo troviamo scene in cui Flash appare velocissimo ed indefinito all’occhio umano in una scena dove tutto si muove a velocità normale. Altro esperimento interessante è quello fatto per “Matrix” (Andy e Larry Wachowski, 1999) in cui l’effetto che vediamo è una decelerazione che arriva quasi all’immagine ferma, durante la quale il protagonista schiva un proiettile e il punto di vista gli rotea intorno. La sua realizzazione è avvenuta con l’utilizzo di varie cineprese poste a semicerchio, unite poi in fase di montaggio.
Un altro utilizzo interessante è il passaggio dal ralenty ad un improvviso ritorno ad una velocità normale: viene usato spesso nei film d’azione dove lo sbalzo contribuisce ad un maggiore salto emotivo e la sospensione trova sfogo unito ad un netto stacco sonoro.
Esiste poi l’assenza di movimento, denominata fermo immagine. Non si tratta di una foto, ma di un fotogramma ripetuto. Anche questo effetto è stato sperimentato nel cinema d’avanguardia (vedi l’inizio di “8 ½”, Federico Fellini – 1963) per poi trovare collocazione significativa con vari risultati, spesso estranianti (vedi “2001: A Space Odyssey”, Stanley Kubrick – 1968 ). Usato molto spesso sull’ultima immagine del film, per aumentare la concentrazione emotiva sul personaggio (vedi “Les 400 Coups”, Francois Truffaut – 1959). Fermare l’immagine su una situazione può servire all’autore per evidenziare l’attenzione e descrivere a voce quel momento, oppure per presentare i protagonisti della scena aggiungendo anche una descrizione scritta del nome e cognome del personaggio (vedi “Trainspotting”, Danny Boyle – 1996).
Infine la velocità contraria, teoricamente di difficile collocazione, ha visto il suo impiego in modo creativo in molti film, specialmente dove ne caratterizza lo stile. Utile nei titoli iniziali di “Memento” (Christopher Nolan, 2000) per descrivere il tema mnemonico del film ed incuriosire con uno stratagemma visivo in cui vediamo una fotografia tornare indietro nel tempo. Bizzarro l’utilizzo nel divertente “Top Secret!” (Jim Abrahams, Jerry Zucker e David Zucker, 1984) in cui un’intera scena girata sul set con movimenti al contrario è stata poi ribaltata in montaggio producendo un effetto brillante e divertente. Stesso stratagemma utilizzato da David Lynch per la serie televisiva di “Twin Peaks” (1990), nella quale in certe situazioni i personaggi dicono al contrario frasi di senso compiuto: ciò è stato realizzato facendo recitare gli attori gesti e parole al contrario, invertendone poi lo scorrimento in fase di montaggio. Anche nella terza stagione di “Twin Peaks” (David Lynch, 2017) troviamo la velocità ribaltata in vari momenti, anche in un frenetico avanti e indietro.
Fin quando trova correlazione con il genere della storia, l’effetto funziona, così come in “Funny Games” (Michael Haneke, 1997) nell’improvviso momento in cui la scena torna indietro velocemente, adatto alla violenza del film, aggiunge anche un motivo meta-cinematografico, in quanto il protagonista interagisce con lo spettatore ed utilizza un telecomando per riavvolgere la scena.
In conclusione, la variazione di velocità è una tecnica ampliamente usata, nel corso degli anni ha variato le sue motivazioni emozionali e può trovare sempre un utilizzo particolarmente vincente quando è correlata allo stile. Vari gli esempi, fra i quali: “Andrej Rublev” (Andrej Tarkovskij, 1966), “Butch Cassidy And Sundance Kid” (George Roy Hill, 1969), “The Wild Bunch” (Sam Peckinpah, 1969), “A Clockwork Orange” (Stanley Kubrick, 1972), “One Flew Over The Cuckoo’s Nest” (Milos Forman, 1975), ”Raging Bull“ (Martin Scorsese, 1980), “Victory” (John Huston, 1981), “Platoon” (Oliver Stone, 1986), “The Untouchables” (Brian De Palma, 1987), ”Terminator 2: Judgment Day” (James Cameron, 1991), ”Alien 3” (David Fincher, 1992), ”Twin Peaks: Fire Walk With Me” (David Lynch, 1992), “Braveheart” (Mel Gibson, 1995), “Le Cinquième Elément” (Luc Besson, 1997), ”American History X” (Tony Kaye, 1998), “Snatch” (Guy Ritchie, 2000), “The Lord Of The Rings: The Fellowship Of The Ring” (Peter Jackson, 2001), “300” (Zack Snyder, 2007), “The Hurt Locker” (Kathryn Bigelow, 2008), “Melancholia” (Lars Von Trier, 2011), “Django Unchained” (Quentin Tarantino, 2012), “La Grande Bellezza” (Paolo Sorrentino, 2013), ”Avengers: Age Of Ultron” (Joss Whedon, 2015), “Deadpool 2” (David Leitch, 2018), “Yesterday” (Danny Boyle, 2019), “Midsommar” (Ari Aster, 2019), “Nocturne” (Zu Quirke, 2020), “Padrenostro” (Claudio Noce, 2020).