Tecniche Cinematografiche

“SOVRAPPOSIZIONE”

di Marco Rosati

La sovrapposizione di immagini (picture in picture) è una tecnica usata sin dagli albori del cinema ed ancora utilizzata. Da sempre ha avuto lo scopo di creare effetti speciali che, specialmente agli inizi del 1900, creavano una curiosa illusione sul pubblico. Le riprese, poste una, o più di una, sull’altra, creano una singola immagine che diventa funzionale per la trama, per il genere, o per lo stile visivo adottato. Uno spettro che passa da una porta, con la rivoluzione digitale, è possibile crearlo virtualmente con un computer, ma quando la computer grafica non esisteva c’era bisogno di filmare la porta da se, poi filmare il personaggio dello spettro che camminava su uno sfondo neutro, quindi sovrapporre in fase di montaggio le due immagini (vedi “Korkarlen”, Victor Sjostrom – 1921).

E’ una tecnica che soddisfa la creazione di situazioni irreali, che hanno amplificato la magia specialmente nel filone di genere fantasy. Moltissimi film di Georges Melies sono realizzati grazie a questa illusione, permettendo all’autore sulla scena di ingigantirsi o farsi piccolo, di moltiplicarsi, spostare la propria testa dal corpo, e tutto ciò che la fantasia gli ha permesso di realizzare (vedi “Un Homme De Tetes” – Georges Melies, 1898). Ma oltre alla creazione di soluzioni narrative altrimenti impossibili, la sovrapposizione ha dato vita a momenti poetici, surreali, descrittivi di una situazione emotiva. Nella scena de “L’Atalante” (Jean Vigo, 1934), il protagonista si tuffa nell’acqua per rivedere il proprio amore e si crea una composizione che Enrico Ghezzi ha definito “…due immagini che fanno l’amore tra loro…”.

Nel film “The Wrong Man” (Alfred Hitchcock, 1956) il protagonista, interpretato da Henry Fonda, viene accusato e messo in prigione per un fatto che non ha commesso e nel suo momento di sconforto e smarrimento la sua immagine viene sovrapposta a quella di un altro uomo che cammina sulla strada, fino a quando i due volti combaciano, molto simili tra loro. In questo modo Hitchcock ha mostrato il vero colpevole, libero per strada, ed il motivo della somiglianza che ha causato l’erroneo arresto di Henry Fonda.

Ecco che, se il cinema incanta per la bellezza delle immagini in movimento, la somma di più immagini può dare una composizione ulteriore che ha molteplici risultati visivamente straordinari. Basti pensare che i titoli che scorrono su uno sfondo sono anch’essi l’unione di due o più immagini. Soluzioni che in un solo momento raccontano più livelli narrativi.  Il viaggio in aeroplano di Indiana Jones in “Raiders Of The Lost Ark” (Steven Spielberg, 1981) ci mostra un aeroplano sovrapposto ad una mappa e un ulteriore linea rossa che si forma lungo il tragitto. In questo modo osserviamo il soggetto (l’aereo), la lunghezza del viaggio (la linea) e i luoghi sorvolati (la mappa). Tutto ciò in una sequenza di pochi secondi che risulta funzionale oltre che brillante, curiosa e gradevole per lo spettatore.

Altre volte vediamo un personaggio raccontare un fatto passato o immaginario del futuro, e sopra di lui ecco scorrere le immagine descritte dalle sue parole. Anche solo un sentimento, il sogno realizzato di trovarsi in un luogo, e l’immagine del protagonista si mischia con quella del luogo stesso, come una immersione (vedi ad esempio “Mulholland Drive” – David Lynch, 2001).

Strategie narrative che coinvolgono l’immagine, come una scena che si sta svolgendo ed una sovrapposizione sul finale ci dice che tutto questo è nella mente del protagonista o di una persona che sta osservando (vedi “Twin Peaks, Season 3” – David Lynch, 2017).

Quindi una finalità narrativa o anche solo di puro gusto visivo. Le immagini unite tra loro creano una geometria diversa, a volte indistinguibile, una nuova immagine che ha vita propria. Può essere poetica perché definisce il contesto della scena immergendo i personaggi in una diversa realtà magari funzionale al loro stato d’animo oppure narrativa nel dare varie informazioni in un unico stratagemma visivo (vedi “Eraserhead” – David Lynch, 1977). L’avvento degli effetti speciali computerizzati ha facilitato l’uso di immagini sovrapposte alle scene girate in set reali, dando una vasta possibilità sia di iterazione che di fantasia: l’immagine creata al computer viene inserita in fase di post produzione. Ma più che un picture in picture, qui si tratta di un inserimento visivo all’interno della sequenza ripresa (vedi  “Ghostbusters” – Ivan Reitman, 1984).

Al di là della immagine digitale, il meccanismo della sovrapposizione fra due o più riprese è ancora usato anche durante l’era digitale, specialmente nel cinema d’autore che vuol mantenere un occhio ad un realismo cinematografico nel quale ogni cosa vista deve essere comunque reale e non creata artificialmente da un compter. Ne troviamo esempi sparsi lungo lungo un secolo di cinematografia in: “L’Homme-orchestre” (Georges Melies, 1900), “Sunrise: A Song Of Two Human” (Friedrich Wilhelm Murnau, 1927), “Napoleon” (Abel Gance, 1927), “Apocalypse Now” (Francis Ford Coppola, 1979), “The Elephant Man” (David Lynch, 1980), “Boys Meet Girl” (Leos Carax, 1984), “Alien 3” (David Fincher, 1992),  “Last Days” (Gus Van Sant, 2005),  “Old” (M. Night Shyamalan, 2021).