“AMARCORD” FEDIC: PIANO SEQUENZA SANGIOVANNESE
di Beppe Rizzo
La Fedic, acronimo per “Federazione dei Cineclub”, fu costituita nel 1950. Molti personaggi, da allora, le si dedicarono, ricoprendo talune funzioni che permisero di traghettare il Sodalizio verso il futuro. Presidenti, segretari, tesorieri, responsabili di varie iniziative, tutti si applicarono con passione per dare un contributo fattivo perché la cultura cinematografica potesse essere condivisa dagli appassionati. E così avvenne. Quanto segue vuole essere un ricordo, un riconoscimento verso coloro che, non essendo più tra noi, portarono avanti le iniziative con impegno e competenza, impiegando buona parte del loro tempo e affrontando problemi e talora disagi.
Si accesero le luci in sala per l’intervallo; gli spettatori si alzarono e lentamente si avviarono verso il Foyer. Ma non tutti si mossero. Teresa Borsotti e Delia Labruna Asti, facenti parte del Comitato per la scelta delle opere da ammettere al Concorso di Montecatini, rimasero sedute, proprio a quelle poltroncine, sempre le stesse, come se esse, per abitudine, di anno in anno, le avessero fatte proprie. Adesso, lontane da orecchie indiscrete, ragionavano sulle opere appena viste. Talvolta non era facile discernere, specialmente quando tutte le opere proiettate fino a quel momento erano state ritenute valide nei contenuti e nella tecnica. Quest’ultima, la tecnica, era stata facilitata dai mezzi offerti dai Computer. Non era più il tempo delle pellicole 8mm quando le fastidiose giunte causavano spesso lo sfarfallio delle immagini, o addirittura la rottura del supporto.
Tra le persone che si attardarono in sala ci furono anche due personaggi che venivano considerati presenze di prestigio poiché davano autorevolezza alla manifestazione che si svolgeva sempre nel periodo primaverile. E a proposito di questa stagione bisogna rimarcare che talvolta le condizioni climatiche toscane non erano eccellenti, e poteva succedere che vi fossero giornate tutt’altro che tiepide e la permanenza in sala richiedeva indumenti non proprio leggeri. Avvenne proprio durante uno di questi appuntamenti annuali che Vittorio Tosi, autore prolifico, dotato di fantasia e capacità veramente eccellenti, vincitore di una miriade di riconoscimenti, non sopportando il freddo in sala, era uscito a comprarsi un paio di calzettoni di lana.
Ma torniamo ai due prestigiosi personaggi. Con un movimento lento dovuto alla sua venerabile età, Luigi Serravalli si alzò e si diresse verso un autore del quale era stato proiettato il film. Si trattava di Ettore Ferettini del cineclub di Roma.
Le sue opere, che Luigi aveva sempre apprezzato, affrontavano argomenti dai contenuti talvolta tutt’altro che lineari, tali da non poter essere apprezzati da chi non fosse dotato di un’adeguata capacità interpretativa. Con una stretta di mano e un largo sorriso, Luigi, emerito critico cinematografico, nonché esperto d’arte, sancì il pieno riconoscimento della validità dell’opera di Ettore , il quale accolse le congratulazioni esternando un’espressione di non celata soddisfazione. E quando Luigi, con passo incerto, si apprestò a lasciare la sala, alcuni di noi decisero di ricorrere alle sue spiegazioni su alcuni passaggi del film di Ferettini, visto che alcune scene ci erano sembrate piuttosto ermetiche. Con proprietà di linguaggio, puntuale, chiaro, Luigi esaudì la nostra voglia di comprensione e dopo averlo ascoltato ci rendemmo conto che alcuni film di Ettore, come “Chirurgo a Berlino” e “Edward Hopper”, erano argomenti che richiedevano un bagaglio di conoscenze culturali che egli evidentemente possedeva e sapeva esprimere nelle sue opere, mentre noi, ahimè, avevamo bisogno di affinare il nostro intelletto.
Intanto coloro che si erano avviati verso il Foyer avevano formato dei gruppetti. Inutile dire che le conversazioni vertevano principalmente sui film appena visti, ma non solo. Io mi posizionai in modo da poter avere una visuale completa. Potevo scorgere tutte le persone e mi divertivo ad osservare i loro movimenti, cercando anche di carpire il topic delle loro argomentazioni. Amedeo Fabbri, direttore tecnico per l’organizzazione generale della Rassegna, discuteva con il proiezionista e gli sentii dire una frase di cui non riuscii a comprendere se fosse un modo di recriminare sul passato. Egli pronunciò il nome di Giorgio Garibaldi che era stato uno dei primi presidenti del Sodalizio.
Poco distante da loro Giovanni Icardi, presidente della Federazione, dava direttive circa una riunione che avrebbe dovuto aver luogo l’ultimo giorno della manifestazione. Giovanni Icardi esercitava l’attività di medico e dedicava tutto il suo tempo libero alla Fedic, compiendo anche frequenti viaggi a Roma per discutere con il Ministero problemi che in una federazione molto attiva non mancano mai.
In un angolo piuttosto appartato si trovavano Massimo Maisetti, a cui, si vociferava, sarebbe stata affidata in seguito la presidenza della Federazione, e Marino Borgogni, che esercitava la funzione di Presidente della Rassegna; essi discutevano sul benvenuto che avrebbero riservato a Silvana Pampanini, attrice che intanto veniva accompagnata all’ingresso del Cinema Masaccio da Enzo De Castro, uomo elegante e distinto che era stato il segretario di Federico Fellini. Negli anni successivi, come era stato per gli anni precedenti, sarebbero stati invitati a San Giovanni Valdarno molte personalità del mondo cinematografico, tra cui Michelangelo Antonioni. Maisetti e Borgogni erano dotati di ottime capacità intellettive e organizzative e rappresentavano per la Federazione un importante punto di riferimento.
A dirigere i dibattiti sui contenuti dei nostri film erano stati chiamati Ermanno Comuzio di Bergamo, scrittore, critico cinematografico ed esperto di Musica, e Tonino Valerii di Roma, regista e collaboratore di Sergio Leone. Ermanno e Tonino conducevano il dibattito in modo davvero esemplare e professionale; le loro competenze sul Cinema e la loro cultura che spaziava in ambiti diversi, erano davvero notevoli: inoltre, non mancavano di discrezione quando dovevano giudicare quelle opere per le quali non erano stati conseguiti risultati brillanti: “già il fatto che un autore traduca una sua idea in immagini, merita grande rispetto”, affermavano.
Poi alzai lo sguardo e scorsi, nell’affollato angolo adibito a self-service, Mino Crocè di Milano, anch’egli autore prestigioso di opere che avevano rappresentato uno spaccato della società, talvolta con le sue brutture, le sue nefandezze, qualche volta mostrando la nostalgia di tempi andati, ma sempre con quel particolare tocco di professionalità. Mentre egli sorseggiava un succo di frutta, accanto a lui il figlio Giovanni che, trastullandosi con un bicchierino in mano evidentemente vuoto, raccontava un simpatico aneddoto circa una proiezione a Montecatini avvenuta l’anno precedente quando lui era stato incaricato di curare le proiezioni. Giovanni Crocè, a cui sarebbe stata affidata in seguito la Segreteria della Fedic e alla quale si sarebbe dedicato anima e corpo, godeva della simpatia di noi tutti per la sua disponibilità e affettuosità. Possedeva delle capacità artistiche: suonava benissimo il pianoforte e faceva parte di un complesso musicale. Qualche volta l’avevamo ascoltato ed eravamo rimasti estasiati.
Intanto Nino Giansiracusa, anch’egli di Milano, e Marco Felloni di Ferrara, intenti a versare dell’aranciata nei rispettivi bicchieri di carta, discutevano animatamente sul fatto che l’intervallo tra una proiezione e l’altra fosse troppo breve e non dava loro tempo sufficiente per prendere appunti. Anch’essi facevano parte di una commissione. Vicino a loro, ma a debita distanza, due personaggi che potevano essere considerati le memorie storiche della Fedic: Nando Scanu e Piero Livi. Ambedue sardi, erano stati autori di film rinomati, per lo più incentrati su vicende riguardanti la loro isola. Piero Livi, da poco, aveva diretto un lungometraggio “Sos laribiancos – I dimenticati” che era stato proiettato in sala il giorno prima ed era stato accolto con grande entusiasmo. L’imponente fisicità di Nando e la personalità di Piero facevano da contrappunto alla minuscola figura fisica di Rossana Molinatti. Autrice veneta, donna affettuosa e dotata di ragguardevole cultura, molto apprezzata da noi tutti, aveva saputo dedicarsi al cinema producendo opere dai contenuti molto interessanti. Aveva ricevuto molteplici riconoscimenti e alcune delle sue opere godevano, come è facile intuire, di una prestigiosa scenografia lagunare. Oltre a fare del Cinema, Rossana era un’abile pittrice e inoltre eccelleva nella creazione di “Maschere” con cui partecipava ai famosi concorsi del Carnevale di Venezia.
Intento a sfogliare un dépliant vidi Antonio Marmi, personaggio piuttosto timido che aveva dedicato la sua vita a raccogliere cimeli riguardanti il Cinema. Fu proprio per la sua timidezza che Mino Crocé dovette faticare tanto per poterlo intervistare durante la produzione di un cortometraggio incentrato proprio sulla passione della raccolta dei pezzi che erano veramente tanti; infatti soltanto una parte di essi poté essere esibita in una Mostra a Montecatini che suscitò l’interesse e l’entusiasmo dei visitatori.. Antonio Marmi, residente a Vignola, decantava la bontà delle ciliegie prodotte proprio nella campagna della sua cittadina.
Infine, quasi inconsciamente, lo sguardo mi fu catturato da un enorme poster che raffigurava una premiazione nella quale Adriano Asti, anch’egli uno dei primi presidenti della Federazione, consegnava il primo premio a Beppe Rizzo, durante una cerimonia a Bergamo alla presenza di Nino Galizzi, presidente di quel Cineclub. Rimasi stupito alla vista di quel manifesto perché mi illusi che grazie alla preminente figura di Adriano, anch’io ero entrato a far parte delle persone che contavano. Ma fu soltanto una effimera sensazione, perché improvvisamente ritornai in me stesso quando il suono del campanello annunciò che l’intervallo era finito e bisognava rientrare in sala. Pochi attimi dopo il foyer rimase quasi deserto; vi era rimasta solo una persona che non conoscevo, seduta là in un angolo: mi avvicinai, la salutai e ci presentammo: si chiamava Giuseppe Curallo e mi disse che anche lui avrebbe fondato un cineclub a Piacenza e lo avrebbe iscritto alla Fedic.
Appena misi piede nella sala, la luce si spense, e tutto sprofondò nel buio.