GIAMPAOLO BERNAGOZZI FIGURA STORICA DELLA FEDIC
di Paolo Micalizzi
La compilation numero 3 relativa alle opere della Cineteca Fedic conservate presso l’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa di Ivrea riguarda Giampaolo Bernagozzi, figura fondamentale della storia della Fedic sia come filmmaker che come sostenitore di ferventi battaglie sia in occasione dei Festival in cui gli Autori Fedic, ma non solo, s’incontravano per fare vedere le loro opere e per discutere delle problematiche della Federazione Italiana dei Cineclub, sia sulle Riviste specializzate, e non solo edite dalla Fedic, ai quali collaborava. Dove non si occupava soltanto del mondo Fedic ma anche di argomenti relativi a temi di impegno civile, sociale e politico ed in particolare del documentario sul quale ha scritto il libro “Il cinema corto. Il documentario nella vita italiana 1945 – 1980” (La casa Usher, 1979) che rimane un punto di riferimento importante per chi si occupa del cinema breve.
Ricordare Giampaolo Bernagozzi, significa per me ricordare un amico, con il quale ho condiviso tante esperienze culturali in occasione di Festival, non solo della Fedic, di cui ho seguito il percorso sin da quando presentava le sue opere al Concorso Nazionale di Montecatini. Già nel 1963 quando andai al Concorso di Montecatini per ritirare un premio attribuito al film “Il rimorso” di Fabio Medini (Cineclub Fedic Ferrara) che lui personalmente non poté recarsi a ritirare, vidi le sue prime opere tra cui “Terezinskè gheto” (1963) che ricostruiva, attraverso i disegni e le poesie dei protagonisti, la tragedia dei 1.500 bambini ebrei passati dal ghetto di Terezin prima di essere inviati ai forni crematori di Auschwitz., un documentario in cui già anticipava tematiche che hanno poi caratterizzato gran parte della sua filmografia. Del 1965 è “Der Sieger” che con documenti della Mostra “Arte e Resistenza in Europa” segue l’itinerario di tutte le rivolte della cultura contro le dittature in Italia, in Germania ed in Spagna. Nello stesso anno, sempre insieme a Pierluigi Buganè con il quale ha realizzato tutte le sue opere, prosegue il discorso di quel suo documentario con “Nein” attraverso canzoni di guerra tedesche e fasciste, rumori di battaglie e di bombardamenti, di canti ebraici e partigiani portando avanti il suo profondo desiderio di denuncia. Un documentario che prosegue “Der Sieger”. Su questa linea anche “In Italia la guerra è finita” (1967) sulle contraddizioni e le violenze che esplodono in Italia così come testimoniato da avvenimenti che vanno dalle bombe in Alto Adige agli scandali edilizi ed alla mafia in Sicilia, ma che accadono anche nel mondo, dal Vietnam alla Grecia, affermano gli autori. La società dei consumi è nella denuncia di un quadro di Landini che dà il titolo al documentario “La Spiaggia di Bocca – Mela” (1968), mentre la retorica patriottarda che invase l’Italia in occasione del 50° anniversario della vittoria della guerra 1915 – 1918 è al centro di “Tanto, che vogliono dire?” (1969) alla cui realizzazione collabora anche Piero Romano. Su quest’ultimo tema anche “Caprera” (1970) che vuole recuperare i valori della Resistenza. Sempre sui temi dell’impegno politico, Giampaolo Bernagozzi e Pierluigi Buganè realizzano altre opere importanti. Ad iniziare da “Col bianco dei capelli di una madre” (1972), documentario antibellicista che vuole sottolineare le logiche sopravvivenze di un militarismo illogico basandosi sui testi delle lettere dei soldati italiani morti o dispersi in Russia durante la tragica ritirata del Don, per proseguire con “Sbatti il mostro dove vuoi” (1973) che vuole colpire i sussulti retorici e destrorsi sopravviventi allora nella scuola italiana. Ai quali seguono “28 maggio, ore 12, Brescia” (1974) che collega lo scoppio della bomba in Piazza della Loggia a tutte le altre violenze del neofascismo, “Italicus” (1974), a cui collabora anche Vincenzo Zamboni, che sottolinea la risposta popolare e la massiccia presenza antifascista a Bologna dopo le stragi di Piazza della Loggia di Brescia e dell’Italicus a S. Benedetto Val di Sambro. Ma il loro impegno cinematografico nel sociale e nel politico non si ferma lì, prosegue in maniera possente con “Lo avrai camerata Kesserling” (1976) che recupera nelle parole di Piero Calamandrei che sottolineavano le lotte nelle campagne e nelle officine nel socialismo dei primi del Novecento le radici dell’antifascismo e della lotta armata. E con “Dedicato a chi perdona” (1985) che denuncia la fine dell’antifascismo come testimoniato dal fatto che, secondo le parole di Giampaolo Bernagozzi, i figli dei carnefici di Marzabotto e degli attentati di Brescia e della Val di Sambro con la strage alla stazione di Bologna del 1980 erano tornati a colpire con la stessa disumana ferocia che ha trovato una serie di appoggi e di violenze nelle trame nere e nelle assenze dello Stato.
Un cinema che oggi manca, quello di Giampaolo Bernagozzi il cui impegno di filmmaker si riscontra anche in altre opere derivate dalla sua formazione professionale di assistente di ruolo all’Istituto di Archeologia dell’Università di Bologna dopo aver insegnato per anni Lettere nelle scuole medie, grazie alla Laurea conseguita nel 1950. Tra esse, “III VIR A.A.A.F.F. (La moneta di Roma repubblicana) del 1966, “Il Tempio della Fortuna Primigenia” (1970), “Ostia: urbanistica ed economia “(1972), “Ikaros – Failaka” (1975), “La città etrusca di Marzabotto” (1983).
Un autore Giampaolo Bernagozzi da conoscere, e la conservazione delle sue opere nella Cineteca FEDIC possono benissimo consentirlo.