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FEDIC REFF 2024 – La necessità di sopravvivere

Come si può sopravvivere in un mondo dominato dall’indifferenza, dal cinismo, dall’oppressione del potere, dalla spietata logica economica o dal peso di un passato troppo difficile da dimenticare? Questa sembra essere la domanda che attraversa trasversalmente tutte e quattro le opere presentate all’interno della sezione FEDIC REFF durante la 74^ edizione di Italia Film Fedic di Montecatini. E in effetti la visione del mondo a cui i quattro cortometraggi sembrano fare riferimento ci appare molto simile, al di là della diversità di stili narrativi e di linguaggi utilizzati. Tutti i protagonisti di questi film sono alla ricerca affannosa di una via d’uscita dignitosa da situazioni estremamente complicate per la loro identità e che li pongono anche di fronte a scelte morali laceranti. Via d’uscita che tutti e quattro gli autori di questi film evitano di delineare con precisione, come se la risposta a quei destini in bilico dovesse essere delegata allo spettatore e alla sua sensibilità.

Il caso forse più emblematico è costituito dalla giovane protagonista del film “La valise rouge” del regista lussemburghese, ma di origine iraniana, Cyrus Neshvad. Ariane è una sedicenne iraniana appena atterrata all’aeroporto del Lussemburgo e che deve ritirare il suo bagaglio, una valigia rossa, che contiene tutta la sua vita, i suoi disegni, le sue pitture, la sua fantasia e creatività, come scopriamo quando due agenti, insospettiti dal suo comportamento furtivo, le chiedono di aprire la valigia. La ragazza in effetti non sembra molto felice di essere in quel luogo e appare indecisa sul da farsi. Fuori l’spetta un uomo maturo che lei non conosce, ma a cui suo padre l’ha promessa sposa. Il suo comportamento ambiguo è infatti determinato dalla sua volontà di non aderire a quel matrimonio combinato. Ariane non ha una strategia, non ha un obiettivo prefissato se non quello di sfuggire a quel destino non voluto in un drammatico gioco di fughe e nascondimenti. Si aggira furtivamente all’interno di quella terra di nessuno che l’aeroporto, dove tutte le identità sono liquide e inafferrabili, in un difficile tentativo di celare la propria identità e non farsi riconoscere dall’uomo che l’aspetta. Prima si toglie il velo, poi sale su un pullman qualsiasi in partenza davanti all’aeroporto e nel frattempo sarà costretta anche ad abbandonare la preziosa valigia, ritrovata dall’uomo in attesa. Il suo futuro non è chiaro, la ragazza è senza soldi e senza una destinazione precisa, ma per il momento è sana e salva. Anche se in un mondo sconosciuto e dove l’oppressione della donna avviene con metodi più sottili e subdoli, come il regista sottolinea con la sua macchina da presa che, nel peregrinare furto della protagonista, ritrae in modo quasi ossessivo i grandi cartelloni pubblicitari che popolano l’aeroporto piene di immagini di donne iper-sessualizzate.

Un’altra strategia di sopravvivenza e di fuga, in questo caso dal proprio passato,  è quella messa in atto dal protagonista di “Séparation” del francese Aurélien Achache. Siamo a Kiev, in Ucraina, all’inizio degli anni Sessanta, in entusiastica attesa della conquista dello spazio da parte dell’uomo, con l’aggiunta di una  storica rivalità politica fra Unione Sovietica e Stati Uniti per essere i primi ad attribuirsi la vittoria in questa competizione. Il protagonista è un cosmonauta russo in missione nello spazio. Ma questa corsa nel futuro per lui costituisce una fuga da un passato drammatico. Durante l’infanzia infatti lui e suo fratello maggiore erano patiti degli aerei e giocavano continuamente, facendo danni in casa, con un aeroplanino di latta che un giorno, la madre, esasperata, getta in strada. Il fratello corre in strada per recuperarlo e viene investito mortalmente da un’automobile di passaggio. “Séparation” è il racconto di questa drammatica vicenda familiare devastata dai sensi di colpa. Ma sono gli anni Sessanta e il giovane astronauta che volteggia nello spazio profondo allude ad una riflessione che è allo stesso tempo morale, ma non immune da un certo approccio di linguaggio contaminato da una vaga psichedelia che alleggerisce il tema e lo pone su un piano più filosofico ed esistenziale.

Diverso dilemma morale è quello dei protagonisti del cortometraggio belga “Les silencieux” di Basile Vuillemin, cinque marinai che attraversano quotidianamente il mare per guadagnarsi da vivere con la pesca. Ma la loro vita è estremamente difficile, la pesca non è sempre fruttuosa, anzi lo è sempre meno. Così, dopo l’ennesimo fallimento in mare, nelle acque in cui è consentita la pesca, ai cinque pescatori si profilano solo due strade: o tornare in porto con una pesca che non garantirà le loro vite (e i loro debiti) oppure uscire dalla legalità per andare a pescare in un tratto di mare dove è vietato farlo per preservare la fauna marina. Alla fine i cinque decidono di rischiare e in effetti la pesca diventa subito più fruttuosa. Fino al momento in cui le loro reti recuperano uno strano pesce. In effetti non è un pesce, ma un ragazzo morto, probabilmente un migrante africano annegato nel tentativo di arrivare in Europa. Uno dei tanti naufraghi senza nome e senza storia che ben conosciamo anche in Italia. Il problema per i cinque si complica ulteriormente. Portare a riva il ragazzo morto e ammettere di aver fatto qualcosa di illegale con tutte le conseguenze del caso oppure ributtare quel corpo senza vita in mare e fare finta che quell’incontro con la morte non sia mai avvenuto? Anche in questo caso il regista non chiarisce l’esito della drammatica discussione che avviene fra i cinque pescatori e quando l’imbarcazione torna in porto noi spettatori ignoriamo cosa sia successo realmente, come se la risposta fosse lasciata, anche in questo caso, agli spettatori.

I protagonisti del francese “Boom” di Gabriel Augeral e Romain Augier, unica opera d’animazione, sono invece due uccelli che fanno parte di una numerosa comunità di pennuti che vivono su un’isola vulcanica. Nel momento in cui il vulcano si risveglia e tutta la comunità pennuta è costretta a fuggire e gettarsi in mare per non venire arrostita dalla lava, ai due uccelli protagonisti si presenta un problema di difficile soluzione e cioè quattro uova ancora da schiudersi. Come fare a salvare il salvabile con solo due ali e un becco come strumenti di difesa? E soprattutto quali di queste uova salvare e quali abbandonare al proprio destino?

La discussione è accesa e va per le lunghe, mentre il pericolo vulcanico si fa sempre più vicino. Uno dei due vorrebbe trovare un modo per portare in salvo tutte e quattro le uova, mentre l’altro, cinicamente, vorrebbe sceglierne una o due al massimo per non appesantirsi la fuga oppure abbandonarle tutte. Il conflitto è sempre più vivace e surreale, ma alla fine prevale il comportamento solidale del primo, con il secondo, cinico ed egoista, che soccombe suo malgrado. “Boom” è una piccola e bellissima favola morale che in qualche modo fornisce una prima parziale risposta al quesito iniziale: come possiamo salvarci dalle difficoltà della vita? Sicuramente non da soli.