“EFFETTO NOTTE”
di Marco Rosati
Svolgere una ripresa in esterna, di notte, come scattare una foto nella penombra, sappiamo il risultato che può portare: il soggetto ripreso diventa una sagoma incomprensibile, quando non ha fonti di luce che lo evidenzino. Spesso l’utilizzo della luna diventa un stratagemma per piazzare al posto di essa un faro nel tentativo di illudere lo spettatore che tutta quella luce provenga dalla luna (vedi l’inizio nella brughiera di “An American Werewolf In London” – John Landis, 1981), ma non sempre risulta realistico. E’ stato escogitato così, nel corso del tempo, il modo per poter svolgere situazioni narrative durante il buio notturno e questa tecnica è comunemente chiamata effetto notte. Le moderne apparecchiature digitali permettono di girare anche con bassissima presenza di luce, mettendo a disposizione lenti che, come l’occhio di un gatto, tendono ad espandere la minima luce catturata. L’effetto notte, molto semplicemente, consiste nel girare la scena in piena luce per rielaborarla in fase di post produzione, oscurando a piacimento, evidenziando il soggetto ripreso, facendo apparire la scena come girata al calar della sera o nel pieno della notte. L’utilizzo fu impiegato agli albori, soprattutto per i film western e l’effetto veniva dato durante le riprese con l’utilizzo di filtri speciali posti davanti alla lente, oppure con la sottoesposizione della pellicola. L’effetto notte modificato nell’era digitale è decisamente più riconoscibile rispetto al passato, specialmente quando viene ripreso alla luce del giorno con la ricerca di camuffamento mediante semplici effetti di un programma di montaggio: viene virata tutta la sequenza sui toni del blu in fase di correzione colore (vedi ad esempio “Twin Peaks, Season 3” – David Lynch, 2017) non sempre con ottimi risultati, in quanto a volte è palese che il tutto sia stato semplicemente virato in un altro colore.
Questo è stato facilitato da cineprese digitali che lasciano una ampia possibilità di modifica dei colori nella fase di post produzione. Come ogni tecnica visiva, anche in questa diventa fondamentale il buon risultato che non ne sveli l’origine, là dove sia intenzione di fare un cinema sempre più paragonabile alla realtà. La questione di stile sta nella scelta dell’ autore, quando egli vuole rendere palese o meno un espediente. L’effetto notte è un ottimo metodo per ricostruire situazioni notturne e girare in piena libertà nel pieno dell’illuminazione solare: nel cinema la luce è fondamentale ed avere a disposizione una perfetta fonte solare può essere utile per mantenere dettagli e gestire tutto in un secondo momento, magari anche quando, per un ripensamento, viene scelto che quella scena del film si svolga in un orario buio. Ne fa un omaggio storico Francois Truffaut che gira il film “La Nuit Americaine” (1973) non soffermandosi sull’effetto cinematografico ma prendendone spunto per analizzare la finzione del cinema stesso, esaltandone l’aspetto con l’interpretazione dello stesso Truffaut nei panni del regista che sta girando il suo film; Truffaut dà indicazioni all’attore eliminando quella finzione magica ed illusoria che convince lo spettatore ad immedesimarsi in un film. Attraverso il trucco tecnico è possibile ottenere un risultato che vada bene allo spettatore, allo stesso tempo funzionale alla storia e mantenendo il piacere della visione. L’avanzamento delle tecnologie ha visto sviluppi anche nell’utilizzo di questa tecnica: si può attuare l’effetto direttamente sul set osservandolo in diretta sul monitor e regolandolo sul momento, lasciando comunque libertà per essere modificato in fase di post-produzione a montaggio ultimato. Sul set quindi la composizione delle luci e la scelta di queste, diventa fondamentale. Senza fare uso di apparecchiature elettroniche per la modifica digitale, per le riprese in interni vengono applicati filtri sui fari che, in fase di ripresa, alterano il colore abbassando la luminosità come una fioca luce notturna. Insieme ai fari filtrati, la fonte esterna di una finestra funge da faro usando la fonte solare che sul set, o successivamente, viene camuffata per farla sembrare luce lunare o luce proveniente da un lampo, da un lampione, da un falò. Svolgendo così le riprese in pieno giorno è possibile fare in modo che all’interno di una stanza sembri notte, non solo eliminando le fonti esterne, ma piazzando luci filtrate che ricreino l’ambiente (vedi “La La Land” – Damien Chazelle, 2016). Oltre a garantire un effetto notturno, è un modo per utilizzare in pieno la luce solare o elettronica sia in esterno che in interno. Certamente necessita gestire attentamente le ombre, che non devono essere forti e in certi casi inesistenti; ugual attenzione se la scena è in esterno, il cielo virato a notturno, se inquadrato, potrebbe risultare comunque molto acceso ed è per questo utile evitare che faccia parte dell’inquadratura oppure scegliere un giorno particolarmente nuvoloso. Ovviamente il sole non deve apparire nell’inquadratura, così come ogni suo riflesso.
In “Mad Max: Fury Road” (George Miller, 2015), prevalentemente girato in esterno, la scelta fotografica è stata quella di fare riprese volutamente sovraesposte da poter modificare in post produzione, avvantaggiati dall’uso di cineprese digitali: il risultato è un chiarore notturno tipico di certe situazioni e adatto agli sfondi desertici e polverosi della storia del film.
L’occhio dello spettatore si abitua facilmente e, anche se palesemente si tratta di un colore aggiunto, la mente lo riconosce e lo identifica come notte. La stessa idea veniva spesso utilizzata in molto cinema di genere horror per mostrare la luce provenienti dai lampi di tuono. In “Cafè Express” (Nanni Loy, 1980) durante il temporale si vedono ben evidenti le luci apparire all’interno del treno, unite al suono del tuono. Questo “effetto fulmine” usato in questo modo ha sempre visto il lampo unito al tuono, che serve ad identificare immediatamente la luce del fulmine, ma in realtà non è sempre esatto, in quanto per questione di velocità diverse fra luce e suono, non dovrebbero essere sempre contemporanei, ma prima si dovrebbe vedere la luce e poco dopo sentire il tuono.
Con l’avvento sempre più predominante del chroma key che, attraverso uno telo, solitamente verde o blu posto di sfondo, sostituisce i fondali con qualsivoglia immagine digitale, anche la notte è realizzata digitalmente. Alle luci del set il compito di uniformare l’illuminazione del personaggio coerentemente ad un fondale di esterno notturno (vedi “The Great Gatsby”, Baz Luhrmann – 2013).
Con il chroma key si evitano tutte le complicazioni descritte nella realizzazione di una ripresa notturna in ambiente esterno, badando solo ad una realistica illuminazione dell’attore sul set. Ma con i mezzi digitali di nuova generazione è facile fare una ripresa in piena notte: i sensori della cinepresa, uniti ad un obiettivo adatto, restituiscono immagini nitide. Proprio per questo l’effetto notte nelle grandi produzioni viene usato principalmente in modo digitale, lasciando luci filtrate soprattutto per interni stretti. Non è facile quindi individuarne l’uso in un film quando la ricerca della realtà si eleva quotidianamente, arrivando a definire sempre meno quale sia una ripresa reale e quale una digitalmente ricreata. Certamente se la tecnica è riconoscibile forse non è stata adoperata nel migliore modo oppure è una palese scelta stilistica che spesso vuol mostrare gli artefatti cinematografici, come la storia del cinema ci ha abituati attraverso mostri finti, trucchi scenici, luci irreali. L’effetto notte è però presente nell’arco dell’ultra centenaria produzione cinematografica attraverso le sue variazioni tecnologiche, in opere differenti fra loro, come ad esempio: “Lawrence Of Arabia” (David Lean, 1962), “Carrie” (Brian De Palma, 1976), “The Brood” (David Cronenberg, 1979), “A Few Good Men “ (Rob Reiner, 1992), “Heat” (Michael Mann, 1995), “The Mummy” (Stephen Sommers, 1999), “Cast Away” (Robert Zemeckis, 2000), “Moulin Rouge !” (Baz Luhrmann, 2001), “El Laberinto Del Fauno” (Guillermo Del Toro, 2006), “28 Weeks Later” (Juan Carlos Fresnadillo, 2007), “Lights Out” (David F. Sandberg, 2016), “Blade Runner 2049” (Denis Villeneuve, 2017), “Occhiali Neri” (Dario Argento, 2022).