Tecniche Cinematografiche

MORPHING

di Marco Rosati

Il morphing (letteralmente “trasformazione”) è un effetto digitale che ha rivoluzionato il mondo degli effetti speciali nel cinema, essendo uno dei primi realizzati mediante computer. Consiste nella trasformazione di un oggetto, luogo, persona, in qualcosa di altro senza usare i precedenti metodi di dissolvenza incrociata o di passo uno. Se pensiamo alla trasformazione di Lon Chaney in uomo lupo nel film “The Wolf Man” (George Waggner, 1941), sappiamo che l’attore dovette rimanere immobile, mentre gli venivano applicati peli “mannari” sul viso, così da permettere una quanto più fluida metamorfosi da uomo a mostro attraverso l’unione delle singole riprese. Ciò richiedeva tempo, precisione e indubbiamente una situazione stressante per l’attore. Ugualmente la dissolvenza fra due immagini aveva evidenti limitazioni e imprecisioni grossolane. Se poi la trasformazione doveva avvenire in movimento, tutto si complicava ulteriormente. Con il morphing si è ottenuta invece immediatezza, risparmio economico e maggiore precisione.

La possibilità di generare immagini e animazioni con il computer era già presente negli anni sessanta in campo industriale, farmaceutico e militare. Nell’industria cinematografica avviene in “Star Wars” (George Lucas, 1977), con effetti di luce per le sparatorie delle navicelle spaziali, così come esplosioni e le note spade laser. Altri film utilizzeranno l’inserimento di creazioni digitali, specialmente nel genere fantascientifico. Il primo utilizzo di morphing invece lo abbiamo nel 1986 con il film “Flight Of The Navigator” (Randal Kleiser), produzione Disney, in cui la navicella aliena protagonista muta la propria forma aerodinamica in volo. Aliena non soltanto la sua provenienza, ma anche l’effetto usato, che da lì in avanti sarà presente in molte produzioni degli anni novanta.

Anche in televisione, dove principalmente li troviamo nei video musicali, a partire dai volti che mutano in altri volti nel brano “Black Or White” (1991) di Michael Jackson, oppure il viso David Byrne che si deforma in “She’s Mad” (1992), stessa idea che userà Bjork che si trasforma in orso in “Hunter” (1997).

Nel cinema il più grande contributo tecnologico e di popolarità tra il pubblico lo abbiamo grazie a James Cameron, prima con le fluide mutazioni di “The Abyss”  (1989) e  poi specialmente due anni dopo con “Terminator 2: Judgment Day”, che vinse l’Oscar nella categoria effetti speciali.  L’antagonista del film, interpretato dall’attore Robert Patrick, si trasforma in persone ed oggetti in modo visivamente perfetto. L‘ottima qualità fotografica e digitale, unita ad un personaggio narrativo davvero versatile, hanno reso il buon successo e la nascita di una figura iconica che con il passare degli anni rimane qualitativamente perfetta.

Di facile utilizzo anche amatorialmente, la disponibilità di questo effetto si è estesa al mondo del personal computer subito nel 1992, mediante MORPH, un programma per Apple Macintosh. Le riviste New York Times, Washington Post e PC World ne scrissero in merito. Oggi è possibile eseguire facilmente un morphing di animazione attraverso applicazioni semplici del telefonino o dal computer di casa grazie ad Adobe After Effects. Il principio di base più articolato comporta la mappatura dell’immagine di origine e di quella di destinazione. Va da se che maggior numero di punti chiave vengono presi e migliore sarà la qualità. Quindi i pixel dell’immagine finale prendono il posto di quella iniziale ed ecco avvenire la trasformazione, durante la quale l’ immagine si deforma lungo i suoi punti chiave, lungo un percorso precedentemente tracciato verso i punti dell’immagine di arrivo. Grazie a questo procedimento i contorni delle due figure vengono precisamente sovrapposti. La buona riuscita qualitativa dipende quindi dalla quantità di punti chiave presi e dal loro strategico posizionamento. Interessanti e vari, di esempi, ne troviamo in film come: “Willow” (Ron Howard, 1988), “Indiana Jones and the Last Crusade” (Steven Spielberg, 1989), “Star Trek VI: The Undiscovered Country” (Nicholas Meyer, 1991), “Sleepwalkers” (Mick Garris, 1992), “The Mask” (Chuck Russell, 1994), “Titanic” (James Cameron, 1997), “Contact” (Robert Zemeckis, 1997), “The Mummy” (Stephen Sommers, 1999), “X-Men” (Bryan Singer, 2000), “The Wolverine” (James Mangold, 2013).