Mondo Cinema

Momenti di storia del cinema

Il bisogno di essere neorealisti di Roberto Lasagna
Il fermento della Nouvelle Vague di Anton Giulio Mancino

Uno dei momenti di maggiore riflessione, durante la 74^ edizione di Italia Film Fedic di Montecatini, sono state le due lezioni dei docenti e saggisti Roberto Lasagna e Anton Giulio Mancino rispettivamente sul Neorealismo e sulla Nouvelle Vague. Un ritorno all’antico, quando nei festival cinematografici, oltre alla vetrina luccicante delle novità, si cercava di creare momenti di approfondimento e discussione sul fare cinema e sul suo linguaggio. Ma, come qualcuno ha detto, per essere moderni bisogna essere veramente antichi e non contemporanei. Quindi ben vengano questi momenti, che a quanto affermato dal direttore artistico Paolo Micalizzi, si ripeteranno anche nelle future edizioni del festival.

Roberto Lasagna si è soffermato soprattutto sulla modernizzazione del cinema operata dal Neorealismo italiano, senza però dimenticare le sue radici culturali e anche politiche, in relazione all’evoluzione della società italiana nel dopoguerra, alla guerra di liberazione della Resistenza e alla ricostruzione dello Stato italiano. Doveroso quindi il riferimento al cinema di Blasetti e Rossellini, i primi registi a captare i nuovi fermenti culturali che si preparavano ad emergere già durante il fascismo, le nuove forme di racconto, lo sguardo umanista sulla società italiana, e anche il nuovo ruolo del cinema concepito non più solo come momento di svago, ma anche come strumento utile ad affrontare i problemi sociali e civili dell’Italia dell’epoca. Senza dimenticare il forte senso critico verso il potere all’interno di uno scontro di classe sempre più evidente. Un cinema di denuncia, quindi, che all’inizio non ebbe il successo di pubblico che avrebbe meritato. Film come “Ossessione” di Luchino Visconti, “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica o “Roma città aperta” di Roberto Rossellini non ebbero infatti nell’immediato l’impatto culturale che gli sarebbe stato riconosciuto in seguito. Ma del resto erano gli anni in cui si doveva ricostruire il Paese e i panni sporchi si dovevano lavare in famiglia secondo i politici della nuova Democrazia Cristiana, quindi la rappresentazione della miseria sarebbe stata progressivamente marginalizzata. E’ evidente che gli esterni desolati e gli interni pieni di inquietudine di “Ossessione”, film ricordato e analizzato recentemente in un libro curato da Paolo Micalizzi, “Ossessione e il Neorealismo” per Falsopiano, o i film di denuncia di un regista poco capito come Pietro Germi, non sarebbero stati apprezzati dalla nuova classe dirigente alla guida del Paese.

Il merito del Neorealismo è stato quello di affrontare il senso della complessità del reale, le sue zone in ombra, le sue marginalità dimenticate in un’Italia vogliosa di dimenticare e di aderire con entusiasmo alla nascente ideologia del benessere, di raccontare un’altra Italia. Lasagna poi ha sottolineato i meriti di un regista come Pietro Germi che, con film come “In nome della legge”, in cui si affronta per la prima volta il problema della mafia, o “Il cammino della speranza”, che racconta l’epopea tragica degli emigranti italiani, annichiliti dallo sfruttamento antico e bestiale delle zolfatare siciliane e quello di nuovo conio che toccava a chi emigrava all’estero nella speranza di migliorare la propria condizione (“migranti economici” anche allora come oggi), o “Il ferroviere”, sulla povertà anche di chi un lavoro ce l’aveva, mescolando la denuncia sociale con le forme del cinema di genere americano si poneva, incompreso, all’avanguardia del movimento cinematografico neorealista. Germi fu infatti criticato anche dalla stampa di sinistra che lo considerava un regista reazionario perchè troppo indipendente dai canoni estetici del PCI. In realtà il suo era uno guado non riconciliato su soggetti che in qualche modo resistevano ad un destino già scritto per la loro classe sociale di appartenenza.

 

Sempre sul tema del rinnovamento del linguaggio cinematografico operato a livello estetico ed etico da un movimento come quello della Nouvelle Vague francese ha incentrato la sua riflessione Anton Giulio Mancino, a partire da alcuni film emblematici come “Hiroshima non amour” di Alain Resnais, “Crepa padrone tutto va bene” di Jean-Luc Godard, “La signora della porta accanto” di Francois Truffaut e “Nouvelle Vague” ancora di Godard, che in qualche modo continua ad operare come un regista di rottura e a mantenere viva la tradizione (?!) della Nouvelle Vague, la trasgressione dei canoni estetici e narrativi di quel movimento anche nel momento in cui sembra essere giunto ad una qualche conclusione. Ma la Nouvelle Vague è veramente finita? Secondo Mancino la Nouvelle Vague non è mai veramente finita perchè non ha raggiunto i suoi obiettivi che consistevano in una sorta di assalto al cielo e successivo smantellamento del cinema come industria culturale del consenso per rimetterlo nelle mani e nelle menti di chi da quel sistema veniva sfruttato e manipolato, cioè un proletariato che presto però avrebbe assunto gli stessi difetti della borghesia e avrebbe abbracciato con entusiasmo il peggiore capitalismo, come aveva intuito con troppo anticipo sui tempi un grande regista e intellettuale come Pasolini. Un’opera incompiuta quindi e oggi decisamente marginale nella discussione culturale e nella pratica artistica contemporanea, ma non per questo meno utile per capire quello che stiamo vedendo sugli schemi e vivendo nella nostra realtà così complessa. La protagonista di “Hiroshima mon amour” ci ammonisce sul fatto che non abbiamo visto niente, o, meglio, abbiamo visto tutto e non abbiamo capito niente di cosa è successo a Hiroshima, non abbiamo capito che una storia d’amore convenzionale non è più possibile dopo la bomba atomica perchè quell’evento, che purtroppo oggi abbiamo quasi dimenticato, ha cambiato per sempre la nostra percezione della realtà. E per questo in qualche modo la Nouvelle Vague francese, che sulla possibilità di un nuovo sguardo capace di destrutturare creativamente i linguaggi del potere e creare una nuova sensibilità e un ruolo più attivo e partecipe dello spettatore nella realizzazione artistica del film, si avvicina al Neorealismo italiano. Lo ha sottolineato il relatore ricordando che lo stesso Rossellini ipotizzava la necessità dei fare film con meno soldi per non fare i “film fregnaccia” commerciali. In fondo sia il Neorealismo italiano che la Nouvelle Vague francese avevano lo stesso intento, riportare il cinema alla realtà effettiva delle cose e degli esseri umani e separare i “professionisti” del cinema da chi il cinema lo fa per innovare, per cambiare la realtà come atto estetico e politico allo stesso tempo, caratteristica che entrambi i movimenti hanno avuto pur nelle differenze di linguaggio e di realizzazione artistica. In questo senso, come afferma Mancino, la Nouvelle Vague è moderna, non contemporanea perchè il giovane regista emergente può essere molto vecchio nel suo operare sul linguaggio cinematografico e l’anziano regista molto giovane e innovativo, come quasi tutti i cineasti della Nouvelle Vague, a cominciare dallo stesso Godard e da altri cineasti come il grande Eric Rohmer, hanno spesso dimostrato.