MONTAGGIO
di Marco Rosati
La fase di montaggio avviene nella post produzione di un film. Può essere fatta anche durante il corso delle riprese, per mantenere una linea costante là dove si tratti di un canovaccio in corso d’opera. L’addetto al montaggio può lavorare solo o affiancato dal regista (come usa fare Woody Allen) oppure esserne l’artefice lo stesso regista (come Tinto Brass). E’ una fase di lavorazione essenziale per il film, dove tutto può cambiare. Alfred Hitchcock, intervistato da Francois Truffaut, ricorda che in quella fase I film possono cambiare notevolmente a seconda delle volontà ultime della produzione o dell’autore, tagliando sequenze o intere scene ritenute superflue, cambiando l’ordine di certe situazioni o addirittura stravolgendo la storia inziale mutando intenti e quindi i finali. Famoso è il taglio di qualche ora aodperato su “Nuovo Cinama Paradiso” (Giuseppe Tornatore, 1988), ritenuto tanto efficace che a ricevere il premio Oscar andò lo stesso produttore che afferrò la statuette e se ne prese merito.
Il montaggio è il momento in cui viene finalmente “visto” il film, che dalla sceneggiatura ha passato la fase di riprese e quindi le singole sequenze vengono finalmente unite e viste per la prima volta su uno schermo. Se agli albori i fratelli Lumiere non dovessero farne uso, perchè i loro film erano una unica scena ripresa in un solo momento, altri invece hanno da subito capito la potenzialità di un lavoro ulteriore fatto con la pellicola. Ecco che George Melies, sovapponendo strati di pellicola o applicando tagli strategici, attuava le sue magie. Di lì a poco fu subito inteso quanto questa semplice operazione di unione di sequenze, avesse invece un ampio potenziale comunicativo, aprendo allo sviluppo di varie teorie e tecniche. Si ha nel 1902 il primo ufficiale esempio di montaggio come oggi lo conosciamo, con il film “Life Of An American Fireman” (Edwin Porter).
E’ con la nascita dei piani e delle varie diverse inquadrature che si è ulteriormente verificata l’efficacia del montaggio. Le varie sequenze del pioniere David Griffith trovavano incastri perfetti fra le inquadrature di primi piani e piani lunghi, carrelli in movimento e statici. E se Griffith è stato il maestro della varietà dei piani, è dato a Sergej Ejzenstejn un vero e proprio esame di questa tecnica in tutte le sue potenzialità e punti di forza. Maestro e autore di libri a riguardo, ha formulato il concetto di montaggio intellettuale, basato su un lavoro che porta a smuovere il pensiero di uno spettatore e non solo le sue emozioni. La sua filmografia è così basata da opere fondamentali per capire come l’alternanza di una immagine ad un’altra, cosi come le durate delle stesse, siano il vero moto trainante che permetta sia alla storia di svolgersi che al messaggio di svilupparsi. Così il ritmo ma soprattutto una sequenzialità che comunica la volontà dell’autore attraverso le immagini in un cinema che ancora era muto. Nel suo film “Stacka” (1924), la scena dei militari che colpiscono i manifestanti è alternanta a contadini che uccidono una bestia. Questo è il forte impatto del montaggio che visivamente mostra che quelle persone sono state trattate come bestie al macello.
Lev Kulesov è stato un altro regista e teorico che ha portato l’attenzione su come una imagine di per se possa essere neutrale a tal punto da essere associata a qualsiasi altra imagine: la stessa isequenza di uomo che guarda verso l’orizzonte, può essere unita alla successiva imagine di un piatto di pasta e risultare un personaggioaffamato, o a quello di un funerale e risultare affranto. Da qui la capacità del montaggio di poter unire due luoghi geograficamente lontani fra loro ma farli sembrare lo stesso posto, magari per esigenze produttive, come filmare l’esterno di un palazzo e l’interno di un altro palazzo diverso, ma far risultare allo spettatore che sia un luogo solo (vedi “Shining”, nel 1980 Stanley Kubrick filmò l’esterno di un albergo di montagna e gli interni in un altro albergo facendo risultare che sia sempre il solito albergo).
Dagli studi degli albori siamo quindi poi arrivati a definire a grandi linee alcuni fondamentali tipi di montaggio: parallelo (il confronto fra due o più scene per trarne un messaggio), ellittico (per raccontare il passare di tempo), narrativo (strettamente funzionale alla chiarezza della trama), connotativo (vedi il sopracitato Kulesov), discontinuo (contro ogni regola di lineartà), alternato (durante la scena narrata viene mostrato che nel frattempo sta accadendo qualcosa nello stesso o in altro luogo).
Alla base di ognuna c’è poi una grammatica tecnica per mantenere il ritmo non alterando, o alterando per scelta, la fluidità del racconto visivo, dove fra le essenziali troviamo il raccordo sull’asse (continuità fotografica di ingrandimento o allargamento sull’asse dell’immagine), la regola dei 180° (il raggio d’azione che alterna lo suardo, a esempio, nella conversazioe fra due persone), l’attacco su movimento (su un gesto c’è la prosecuzione dell’inquadratura successiva), attacco sul suono (il suono della scena successive viene anticipato sulla precedente) lo scavalcamento di campo (il punto di vista deve mantenersi a un lato della scena così da rendere chiare le posizioni di oggetti e personaggi nel luogo), impallamento (un personaggio o qualcosa ingombrano la visione oscurando lo schermo, utile per mascherare tagli nei lunghi piani sequenza).
E’ nella fase di montaggio che vengono inseriti titoli e tutti quegli effetti di dissolvenza, sovrapposizione o speciali, dove vengono scelte le sequenze migliori e il minimo dettaglio dei tempi di durata non sempre prevedibili nella pre produzione. Infine l’evoluzione tecnologica nel digitale ha permesso passi da gigante sulla vision globale del prodotto. Dalla pellicola analogica al formato digitale la larga scala di opportunità ha visto prevalere la seconda, ed il primo film ad ufficializzare il passaggio di consegne è stato “The English Patient” (Anthony Minghella, 1996). Tempi di lavorazione accorciati, controllo maggiore sul taglio e quindi sul ritmo, mancanza di usura nella lavorazione della sequenza, totale libertà di fare più versioni di una scena alternando in modo differente le sequenze, migliore controllo su audio, colore ed effetti speciali.
E’ quindi il montaggio che confeziona e conclude il film, oltre ad offrire quella larga gamma di opportunità espressive e di ritmo che, per forza di cose, al momento di ripresa non possono avvenire. Ecco di seguito alcuni esempi dove meglio riconoscere una buona operazione di montaggio: “Intolerance” (David Griffith, 1916), “Geheimnisse Einer Seele” (Georg Pabst, 1926), “Metropolis” (Fritz Lang, 1927), “Oktjabr” (Sergej Ejzenstejn, 1928), “Un Chien Andalou” (Luis Bunuel, 1929), “Psycho” (Alfred Hitchcock, 1960), “Zazie Dans Le Metro” (Louis Malle, 1960), “Per Un Pugno Di Dollari” (Sergio Leone, 1964), “Persona” (Ingmar Bergman, 1966), “2001: A Space Odyssey” (Stanley Kubrick, 1968), “The Wild Bunch” (Sam Peckinpah, 1969), “Ryan’s Daughter” (David Lean, 1970), “Profondo Rosso” (Dario Argento, 1975), “Apocalypse Now” (Francis Ford Coppola, 1979), “Die Hard” (John McTiernan, 1988), “Na Srebrnym Globie” (Andrzej Zulawski, 1988), “Mission: Impossible” (Brian De Palma, 1996), “Saving Private Ryan” (Steven Spielberg, 1998), “Snatch” (Guy Ritchie, 2000), “Dancer In The Dark” (Lars Von Trier, 2000), “Moulin Rouge!” (Baz Luhrmann, 2001), “Inland Empire” (David Lynch, 2006), “The Tree Of Life” (Terrence Malick, 2011), “Juste La Fin Du Monde” (Xavier Dolan, 2016), “Suspiria” (Luca Guadagnino, 2018), “Beau Is Afraid” (Ari Aster, 2023).