SALTO TEMPORALE
di Marco Rosati
Durante lo svolgersi di un racconto, le esigenze narrative possono portare al bisogno di spostare l’attenzione su di in un lasso di tempo passato, sguardo a ritroso, o futuro. La necessità è sempre quella di approfondire e capire meglio la storia narrata o di aggiungere piccoli dettagli brillanti. Questi salti temporali in gergo cinematografico vengono notoriamente chiamati flashback (quando si torna indietro) e flashforward (quando lo sguardo è in avanti). E’ essenziale che, dopo aver mostrato fatti del passato o del futuro, si torni poi al tempo presente dell’azione. A livello letterario si tratta corrispettivamente della analessi (già presente nell’ “Iliade” di Omero) e della prolessi. La necessità quindi è puramente narrativa, sia per approfondire che per svelare verità allo spettatore (vedi il “Batman” di Tim Burton, 1989, dove ad un certo punto del film vengono date informazioni sul protagonista narrando la morte dei suoi genitori). L’uso per esempio strategico in “Fight Club” (David Fincher, 1999) dove verso la fine ci vengono rimostrate le sequenze, già viste, con la consapevolezza nuova acquisita dello spettatore. Oppure il classico utilizzo nei film di indagine, attraverso le ipotesi dell’investigatore che narra i vari scenari del delitto, mentre lo spettatore visualizza in immagini la ricostruzione del delitto (vedi “Murder On The Orient Express” di Sidney Lumet, 1974). Un esempio interessante è presente in “The Boondock Saints” (Troy Duffy, 1999) dove Willem Dafoe arriva nella scena del crimine e ne ricostruisce i fatti mimando le azioni, che si intervallano a ciò che è realmente accaduto: lo svolgersi dell’omicidio viene mostrato solo in quel momento allo spettatore.
Ben più particolare è il flashforward, la prolessi che dà visione di ciò che accadrà, molto utilizzato per momenti che mostrano cosa il personaggio farebbe. Ad esempio, spesso è usata nei film in cui qualcuno immagina una fuga dalla prigione o nella pianificazione di rapina, come in “Baby Driver” (Edgar Wright, 2017), dove Kevin Spacey descrive alla banda criminale il modo in cui dovranno agire, ed assistiamo alla descrizione ed alle immagini della stessa, fin quando il futuro descritto diventa il presente narrativo, e lo spettatore è accompagnato nel pieno della rapina. Teoricamente può trattarsi della parte finale de “The Last Temptation Of Christ” (Martin Scorsese, 1988) dove vengono mostrati i fatti nel modo in cui sarebbero cambiati se il protagonista avesse storicamente scelto di non sacrificarsi. Sicuramente un interessante uso del flashforward spesso ne ha fatto il regista Sam Peckinpah: ad esempio in “The Getaway“ (1972) vediamo Steve McQueen guardare un laghetto, e questo è intervallato da immagini di lui che si tuffa e nuota. Nella scena succcessiva entra in albergo completamente bagnato. Quindi ciò che vedevamo in quelle immagini era l’immaginazione del protagonista oppure ciò che di li a poco sarebbe veramente accaduto?
Ma attenzione perché non sempre sono scelte immediate per lo spettatore, che a volte si trova perso nei continui salti temporali, senza riuscire più a distinguere quando si tratti di tempo presente, passato o futuro. L’esagerazione dei salti non aiuta. Che si tratti di mostrare il passato o il futuro, per fare in modo che avvenga questa tecnica narrativa, è essenziale che dopo averlo mostrato si torni al tempo presente. Molti i modi per farlo, spesso con una dissolvenza per rendere più comprensibile e fluido il passaggio, oppure scritte che identificano la parentesi temporale, o cambi netti di stile visivo. Alcuni esempi: in “Saving Private Ryan” (Steven Spielberg, 1998) vengono inquadrati gli occhi dell’anziano protagonista e quegli occhi diventano gli occhi di lui da giovane soldato che ora guardava il campo di battaglia. Stesso stratagemma che pochi anni prima era stato usato per “Titanic” (James Cameron, 1997), interamente basato sul racconto della protagonista, attraverso dissolvenze dal relitto alla nave in perfetto stato, o dalla protagonista anziana a lei stessa giovane.
In “Kill Bill: Volume 1” (Quentin Tarantino, 2003) per raccontare in una parentesi la genesi di un personaggio, il genere del film cambia diventando di animazione. In “La Bonne Annee” (Claude Lelouch, 1973), film interamente in bianco e nero, il flashback viene mostrato a colori, scelta curiosa là dove solitamente viene fatto il contrario. “The Mauritanian” (Kevin Macdonald, 2021) per contraddistinguere i flashback vengono mostrati in 4:3 e virati come vecchia pellicola, stesso stratagemma che troviamo anche ne “La Chimera” (Alice Rohrwacher, 2023). L’abitudine ad identificare il passato in foto bianche e nere, ha portato a scegliere di virare i flashback in bianco e nero. L’ingegno può aiutare a differenziarsi, ma a volte può essere frainteso, come nel caso dell’inizio, poi eliminato, di “Sunset Boulevard” (Billy Wilder, 1950) che mostrava il protagonista defunto all’obitorio diventare narratore della vicenda. Il pubblico della prima visione rise, pensando di trovarsi davanti ad una commedia, ciò che in realtà non era.
E’ invece una tecnica narrativa che apre a molte dinamiche e che può diventare fulcro per lo svolgimento di tutto il film, come nel caso di “Rashomon” (Akira Kurosawa, 1950) dove i protagonisti sono chiamati a raccontare come sono avvenuti i fatti ma ognuno di loro dà una versione diversa. Quindi allo spettatore vengono mostrate scene del passato raccontate in modi differenti.
Formula simile per il film “The Last Duel” (Ridley Scott, 2021) dove invece è l’autore che decide di mostrare tre volte la storia attraverso la visione dei singoli protagonisti. L’ipotesi sulla veridicità del racconto è il perno su cui ruota, per esempio, anche “Life Of Pi” (Ang Lee, 2012). Ciò che viene mostrato è il racconto del protagonista, ma quella mostrata è la “verità” ?
Un esempio di come usarla non necessariamente per esigenze narrative ma solo per rendere un momento particolare: in “The Hudsucker Proxy” (Joel e Ethan Coen, 1994) Paul Newman resta appeso per i pantaloni fuori dalla finestra, rischiando di cadere, e in quel momento lui ha il ricordo di quando, al sarto che cucì il pantalone, disse di fare una cucitura più economica e meno solida. Casi particolari poi infine sono certamente “Memento” (Christopher Nolan, 2000), o “Irreversible” (Gaspar Noe, 2002), dove nella struttura di base non c’è un ritorno al presente ma un continuo andare a ritroso nel tempo.
Altri esempi del suo chiaro utilizzo li troviamo in: “Citizen Kane” (Orson Welles, 1941), “Goodfellas” (Martin Scorsese, 1990), “Fried Green Tomatoes” (Jon Avnet, 1991), “Reservoir Dogs” (Quentin Tarantino, 1992), “Carlito’s Way” (Brian De Palma, 1993), “Natural Born Killers” (Oliver Stone, 1994), “Forrest Gump” (Robert Zemeckis, 1994), ”The Usual Suspects” (Bryan Singer, 1995),“American Beauty” (Sam Mendes, 1999), “Oldboy” (Park Chan-Wook, 2003), “Eternal Sunshine Of The Spotless Mind” (Michel Gondry, 2004), “The Social Network” (David Fincher, 2010), “Nymphomaniac – Volume 2” (Lars Von Trier, 2013), “Manchester By The Sea” (Kenneth Lonergan, 2016), “Dogman” (Luc Besson, 2023).